I monaci benedettini e la Regola, che assomiglia tanto ad un open software

Qualche volta capita di incontrare persone che seguono i tuoi stessi territori di caccia. Quando accade ti tornano in mente le parole che Ronald Everett Capps ha scritto in Una canzone per Bobby Long. «C’è un circolo segreto, sai. E i soci non sono tanti. Sono silenziosi, si annidano nell’oscurità, proprio davanti al tuo naso. Quando li vedi, è probabile che tu non li riconosca nemmeno. Non indossano abiti speciali. E li puoi trovare all’angolo di una strada tanto quanto in un bordello o in una biblioteca o in una chiesa o in un laboratorio. Molti sono in manicomio. Ce ne sono di tutte le stazze e razze, sessi e religioni. Sono quelli che sanno ascoltare ciò che gli occhi non possono vedere». Non sai bene come definirli, forse assomigliano ai vecchi cartografi, quelli che disegnano mappe, non sempre precise, di territori inesplorati o ancora tutti da capire. In giro, negli ultimi tempi, ce ne sono un po’.

 

Persone che guardano al futuro

 

Che fanno? Tracciano linee e confini, stanno provando a ridefinire la mappa del post Novecento, dopo che i muri sono caduti, le utopie sono precipitate a terra, in frantumi, con le ideologie sventrate, i sogni ripudiati, la storia interrotta, il sapere, quello del vecchio secolo, evaporato, dimenticato, sotterrato sotto lo shopping delle masse. I cartografi sono quelli che immaginano e scrivono il futuro. Non è detto che siano al centro, li trovi sparsi, spesso periferici, comunque in cammino, agli incroci di questa crisi economica che consuma le radici e sembra non finire mai. Sono sognatori, ma senza grandi utopie. Non pensano che si possa rivoluzionare il mondo, ma cercano terre che gli assomigliano: se ognuno si prende cura di quello che ha intorno, un quartiere, una valle, una collina, un pezzo di cielo, magari qualcosa può cambiare. Hanno le radici a casa e lo sguardo, l’orizzonte, che guarda lontano, ai confini del mondo. Scommettono su quello che verrà.

 

Come si fa a ritrovare il futuro?

 

Pensate agli anni incerti del Medioevo. Anche lì gli umani stavano cercando una rotta e in qualche modo la trovano deragliando dal centro. Non è un orizzonte sicuro quello dove si ritrova a vivere Benedetto da Norcia. Sono passati cinquecento anni dalla nascita di Cristo. Roma da tempo non è più un impero. Non c’è equilibrio. Non c’è legge. Non c’è una morale. Non c’è un posto sicuro e dove un tempo c’era il potere ora c’è solo deriva umana e corruzione. Quella di Benedetto è una fuga, verso terre di frontiera, lontane, periferiche. Fuga da Roma per lo schifo che si respira. Ricostruire. Ricostruire un passato e un futuro. Dove? In alto. Sulla cima di un monte. Montecassino.

 

Ora et Labora, una regola “aperta”

 

L’idea è di mettere insieme una comunità di individui di buona volontà, dove si prega e si lavora e si ritrova se stessi. E qui si arriva alla famosa Regola. Quello di Benedetto è un progetto, una visione, un programma di vita. Quella Regola, vista con gli occhi del 2018, assomiglia a un software open source, un programma aperto, senza diritto d’autore, che ognuno può modificare e adattare alle proprie esigenze. Ed è per questo che sarà virale. Benedetto, che forse non era neppure prete, non crea un ordine rigido. Ogni comunità si organizza come meglio crede e non deve per forza fare capo all’abbazia madre. La Regola viene così riformata e ogni volta si adatta ai tempi e ai luoghi. I benedettini diventano una confederazione. Cluny, che anticipa la vocazione francese al centralismo, è più gerarchica e rigida. È un centro di potere, magnificente e lussuoso. Ognuno comunque sceglie la propria strada. Austeri e spogli e tanto lavoro per i cistercensi. Solitudine per i camaldolesi e i silvestrini. Senso artistico per gli olivetani e i cassinesi. E poiché S. Benedetto nella sua regola non determina di quale colore debba essere l’abito monastico, i monaci vestirono di bianco (camaldolesi e olivetani) o di bianco e nero (cistercensi), o adottarono un colore intermedio, che subì varie sfumature (silvestrini) fino a divenire tutto nero (vallombrosani). È un’Europa che all’interno della Regola si ritaglia un abito su misura.

 

Il sapere diffuso

 

I monasteri sono luoghi dello spirito, ma si incarnano nella storia come crocicchi di arti, mestieri, saperi e creatività. Il lavoro degli amanuensi recupera la cultura classica e la mette in rete. È, anche qui, una sorta di Google. I benedettini inventano l’orologio meccanico. Non è solo una questione tecnologica. È molto di più, perché cambia la percezione mentale. Sono loro a reintrodurre la concezione romana di “ora”. Ogni ora ha il suo dovere e ogni dovere scandisce la giornata. I monaci contano il rapporto con Dio, ma quando questo concetto finisce nella testa dei mercanti getta il seme del capitalismo. L’ora circolare delle fede diventa ora lineare per chi fa impresa. Jacques Le Goff e Reinhard Bendix raccontano il monaco benedettino come il primo professionista della civiltà occidentale. Le innovazioni idrauliche e la rotazione delle colture strappano la storia e valgono come le rivoluzioni industriali o il capitalismo 4.0. E in più ci hanno regalato il pentagramma e lo champagne.

 

Fino al Dom Perignon

 

Vi dice nulla il monaco Dom Perignon? I benedettini ridisegnano la mappa del pensiero. E lo fanno con una fuga dal presente, con una mossa laterale, spiazzante, come chi intuisce un corridoio invisibile dove immaginare il futuro. Oltre le macerie.