Cosa rischiano i risparmiatori in caso di Bail-in?

Il bail-in si applica seguendo una gerarchia, la cui logica prevede che le eventuali perdite o la conversione in azioni siano sostenute prima degli altri da chi ha scelto di investire in strumenti finanziari più rischiosi. In particolare, si sacrificano prima gli interessi dei “proprietari” della banca, ossia gli azionisti, riducendo o azzerando il valore delle loro azioni. Se l’azzeramento del valore delle azioni non risulti sufficiente a coprire le perdite, si interviene su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere trasformate in azioni. Ad esempio, in caso di bail-in, chi possiede un’obbligazione bancaria potrebbe veder convertito in azioni e/o ridotto (in tutto o in parte) il proprio credito, ma solo se le risorse degli azionisti e di coloro che hanno titoli di debito subordinati (cioè più rischiosi) si sono rivelate insufficienti a coprire le perdite e ricapitalizzare la banca, e sempre che l’autorità non decida di escludere tali crediti, in via discrezionale, al fine di evitare il rischio di contagio e preservare la stabilità finanziaria. L’ordine di priorità per il bail-in è il seguente: i) Gli azionisti; ii) I detentori di altri titoli di capitale; iii) Gli altri creditori subordinati; iv) I creditori chirografari; v) Le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro; vi) Il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti. C’è anche da sottolineare che il contributo al ripianamento delle perdite e alla ricapitalizzazione della banca sottoposta a risoluzione sarà fornita, in ordine, dalle riserve patrimoniali dell’Istituto, dai suoi azionisti, dai detentori di altre partecipazioni di strumenti di capitale e dai detentori di passività soggette al Bail-in fino all’8% delle passività totali comprensive dei fondi propri. A questo punto, entrerebbe in gioco il fondo di risoluzione, che coprirebbe fino al 5% delle passività totali.